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LE MASCHERE DI ENSOR
Ci sono immagini che hanno grande forza, che riescono a comunicarci con efficacia e sintesi grandi riflessioni. Un caso interessante sono le opere del pittore belga James Ensor. Nato a Ostenda nel 1860, la sua produzione artistica è caratterizzata da quella vena grottesca e surreale che sembra accomunare, confermando le opinioni di chi crede nell'esistenza di un genius loci, molti pittori di quelle terre – si pensi a Bosch, Bruegel, a Magritte e Delvaux. Tuttavia, questa forza dissacrante non è usata per suscitare un facile riso, quanto per spingere ad una riflessione, acutissima, sull'uomo e i suoi inganni. Non a caso, uno dei soggetti da lui preferiti è quello della maschera. Il suo atteggiamento non è, però, quello del moralista col dito puntato: è un uomo che, innanzitutto, capisce che il primo ad usare – ed abusare – dell'inganno, è se stesso, come ben si vede in un dipinto del 1899, Autoritratto con maschere. Certo, qualcuno potrebbe leggerlo al contrario, con lui, unico uomo “vero”, attorniato da un mondo di falsità...ma a me piace interpretarlo così, con l'autore attorniato da tutti i mascheramenti che ha adottato, e adotta, nel corso della sua vita. Verso gli altri, e verso se stesso. In fin dei conti, è quello che viviamo tutti. Tutti siamo “una moltitudine”...al punto di non sapere più, a volte, chi siamo veramente. E' possibile riuscire a scoprirlo, o riscoprirlo? Io credo di sì, che sia quello che accade in quei pochi, rari momenti, in cui sentiamo che possiamo essere davvero noi stessi, da soli o, ancor meglio, con qualcuno. Anzi, di solito è proprio quello il segnale che chi ci sta di fronte è una persona con cui si sta costruendo qualcosa di vero e profondo. L'altro grande momento di “svelamento” è quello ultimo, dinanzi alla morte, che non a caso compare, in forma simbolica, in molte tele dell'autore.


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